PERCHE’ SERVONO LE PAROLE…E LE PAROLE GIUSTE.

“Non poter vedere”,  è una frase che oggi si collega quasi automaticamente a un impedimento degli occhi, qualche grave problema oftalmico, ma solo qualche decina di anni fa, quando la tecnologia digitale della riproduzione e del trasferimento a distanza delle immagini non si era ancora sviluppata capillarmente come oggi, anche i normovedenti non potevano vedere molte cose. E se andiamo ancora più indietro nel tempo, scopriamo che, antecedente alla civiltà delle immagini, c’era una civiltà basata prevalentemente sull’immaginazione.

Gli antichi greci definivano come “ekphrasis”  l’esercizio di raccontare le immagini attraverso le parole, e importanti esempi sono rintracciabili soprattutto fino ai primi del ‘900 in molte opere letterarie. Poi, all’inizio lentamente, e sempre più velocemente negli ultimi decenni, la possibilità di riprodurre le immagini non più con il disegno e la pittura, bensì attraverso la fotografia, il cinema, la televisione,  e ora i dispositivi portatili digitali, sembra aver confinato la parola sui ripiani alti, quelli dove finiscono tutti gli strumenti un po’ superati che utilizziamo più raramente.

Eppure, anche in una società ormai dominata dalle immagini, noi crediamo che la parola resti, nonostante tutto, uno strumento ancora straordinariamente efficace e multiuso. Lo è ad esempio nel mondo delle disabilità: ogni parola può essere facilmente trasformata  in diversi formati: file audio, caratteri ingranditi, Braille, lingua dei segni, lingua controllata, lingua semplificata, ecc.

Ma allo stesso tempo ogni parola deve essere quella giusta, deve poter competere con le immagini sul piano della precisione, dell’univocità, della nitidezza… e questo diventa un tema delicato se vogliamo, come ci siamo prefissi,  usare le parole per descrivere un’opera d’arte.  Di sicuro non basta saper scrivere bene, non è solo questione di talento, non dovevamo emulare i grandi retori e letterati del passato: lo scopo per loro, era quello di consegnare al pubblico parole emozionanti. Il nostro, più umile e concreto, quello di consegnare parole fedeli, cioè corrispondenti all’oggetto d’arte descritto, lasciando che sia quest’ultimo a emozionare.

Serviva una tecnica, serviva un metodo…

Omero, Iliade, Libro XVIII, vv. 478-608,
trad. it. Rosa Calzecchi Onesti, Torino, Einaudi, 1990, pagg. 667-673.

Immagin edi una pagina tratta dal libro dell' Iliade, Omeero

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